Il suo curriculum occupa parecchie pagine, ma ce ne vorrebbero di più per elencare i traguardi che ha raggiunto. Tessere le sue lodi ci costerebbe caro perché lei, alle sviolinate, preferisce un sano contraddittorio. Credo sia perché le piace crescere e perché è una delle poche persone al mondo che, per farlo, è davvero disposta a mettersi in discussione.
Parliamo di quando hai iniziato?
E lei ha già gli occhi lucidi.
C’è chi crede che un grande bagaglio di principi ed emozioni sia una zavorra per un dirigente d’azienda.
Niente di più falso: sono il suo motore.
E ve lo mettiamo per iscritto: non ci sono molte cose che la possano fermare.
Qual è il tuo limite?
La mia etica. Con impegno e volontà si arriva ovunque ma è ciò che credi giusto e sbagliato che ti dice quando andar avanti e quando fermarti.
E la tua etica da dove arriva?
Dalla mia famiglia, soprattutto.
Mio padre, che poi è anche il fondatore di Briefing, mi ha insegnato che nulla ti darà soddisfazione se al mattino non sarai contento di te, guardandoti allo specchio.
Il marketing a Milano, le multinazionali, e poi Briefing.
Sì, è stata la mia esplorazione. Ho voluto camminare con le mie gambe prima di raccogliere l’eredità dell’azienda di famiglia. Mi sono resa indipendente, ho fatto esperienze diverse, ho ragionato con la mia testa.
E infatti, quando sei arrivata in Briefing, l’hai rivoluzionata.
Io ammiro il lavoro che mio padre, insieme ai suoi soci, ha fatto. Ma credo che in ogni settore e nella comunicazione soprattutto, si debba sempre innovare e stare al passo (se non anticipare) i cambiamenti.
Così da tipografia, Briefing è diventata agenzia di comunicazione.
Abbiamo sviluppato prima il settore grafico e poi tutta l’area digital, con il web design, il web development e il web marketing, ma abbiamo mantenuto anche la stampa, sia digitale che offset.
E ti hanno seguito tutti.
Nemmeno un po’. Molti hanno detto “no grazie”, altri erano diffidenti, solo qualcuno ci ha creduto.
Silvio, che oggi è “l’altra metà del cielo di Briefing”, mi è stato accanto e insieme siamo stati artefici della “rivoluzione”.
I “no” non ti demoralizzano?
Credo sia normale, di fronte ai cambiamenti, trovare delle resistenze. Mi succede ancora, ogni giorno, proponendo strategie di comunicazione a clienti che magari non hanno mai sperimentato alcuni canali.
Per esempio?
I social, il digital marketing. Non è semplice investire su qualcosa che non conosci.
E la soluzione?
Ognuno ha la sua. Io ho bisogno, per sentirmi sicura, di essere certa delle mie competenze. Quindi studio in continuazione e mi aggiorno. Non proporrei ai clienti qualcosa su cui non ho il controllo.
La tua arma con i clienti?
La sincerità. Alla lunga paga sempre perché è facile irretire un cliente con grandi promesse ma, se poi non segue la sostanza nelle azioni, è altrettanto facile perderlo.
Ho l’onore di lavorare con alcune aziende da 20 anni, di traghettare internazionalizzazioni e cambi generazionali.
Non potrebbe essere così se la Briefing svendesse la sua credibilità in cambio di facili guadagni.
E il tuo team?
È una delle mie fatiche più grandi ma è anche la prima fonte di soddisfazioni lavorative.
Negli anni alcune persone sono arrivate e rimaste, altre hanno preso strade diverse ma ognuno ha dato un contributo importante. Mi piace pensare al mio team come a un “branco”, dove ognuno fa la sua parte e si fa di tutto perché nessuno rimanga indietro.
Ma fuori dal lavoro Eliana com’è?
Ah.
Ride.
Molto più rilassata.
E cosa fai per rilassarti?
Amo la montagna e le lunghe passeggiate, il buon cibo, il lago dove spesso mi rifugio con Max, mio marito, nel weekend.
Ti senti fortunata?
Sai, ognuno di noi sente la mancanza di qualcosa che non ha avuto, ma nel paesino al lago dove trascorro il weekend c’è un vecchio bar: il bar della Gina. È un po’ “sgarrupato”, con i tavolini anni ‘50 e le sedie di corda. Mio marito alla domenica mattina mi porta a fare colazione lì e in quel momento, con il mio cappuccino davanti, il lago alle spalle e Max accanto… sì, mi sento fortunata.
E cosa ti fa arrabbiare?
La disonestà delle persone. Do parecchia fiducia, e quando viene tradita mi ferisce un sacco.
È possibile vederla arrabbiata perché lei non è una che finge e, se pretende molto dalle persone è perché è abituata, in primis, a chiedere molto a se stessa.
Ma è altrettanto facile vederla entusiasta: di un progetto che si è concluso bene, di un suggerimento innovativo arrivato da uno di noi, di un aperitivo tutti insieme dopo il lavoro, di un luogo che ha scoperto dopo una lunga, avventurosa camminata.
Qualcuno dice che chi sceglie un posto di lavoro stia innanzitutto scegliendo un capo.
Se solo un pezzetto di questo è vero allora tutti noi, in Briefing, siamo qui perché abbiamo scelto lei.